Che cos'è la ragione

     Riporto per intero un brano tratto da un testo che letteralmente mi ha aperto la mente sul rapporto ragione - fede: "Il senso religioso" di Luigi Giussani. Si tratta di ragionare sulle cose importanti della vita cercando di scrollarsi di dosso l’impianto culturale razionalistico-illuminista che respiriamo fin dalla nascita e pervenire così a considerare cosa la ragione è: apertura al reale.


     Una prima premessa. Occorre realismo. Cosa intendo per realismo? Intendo che il metodo adeguato per conoscere un determinato aspetto del reale non deve essere imposto da un “a priori” da un pre-concetto che abbiamo sull’oggetto di indagine ma deve venir fuori per così dire dall’oggetto stesso. E’ l’oggetto che mi suggerisce il metodo con cui impegnare la ragione. Il realismo esige che, per osservare un oggetto in modo tale da conoscerlo, il metodo non sia immaginato, pensato, organizzato o creato dal soggetto, ma imposto dall’oggetto. Ancora. Significa non privilegiare uno schema che si abbia già presente alla mente rispetto alla osservazione intera, appassionata, insistente del fatto, dell’avvenimento reale. Sant’Agostino esprimeva qualcosa di analogo dicendo: ”Io cerco per sapere qualcosa, non per pensarla”.

     Tale dichiarazione indica un atteggiamento opposto a quello che è più facile ravvisare nell’uomo moderno. Se infatti sappiamo una cosa, possiamo dire anche di pensarla; ma Sant’Agostino ci avverte che non è vero il contrario. Pensare qualcosa è la costruzione intellettuale, ideale e immaginativa, che noi operiamo in proposito; ma sovente concediamo troppo privilegio a questo pensare, per cui senza rendercene conto proiettiamo sul fatto ciò che ne pensiamo.

     L’uomo sano invece vuole sapere come un fatto sia: solo sapendo com’è, e solo allora, può anche pensarlo. Ciò vale per ogni esperienza umana ed in particolare per l’esperienza più significativa che l’uomo fa: l’esperienza religiosa, e dico esperienza perché di un fatto si tratta, non di un puro sentimento. Non esiste infatti attività umana che sia più vasta di quella individuabile sotto il titolo: ”esperienza o sentimento religioso”. Essa propone all’uomo un interrogativo su tutto ciò che egli compie, e viene perciò a essere un punto di vista più ampio di qualunque altro. L’interrogativo del senso religioso è: “che senso ha tutto?”, e dobbiamo riconoscere che si tratta di un dato emergente nel comportamento dell’uomo di tutti i tempi, e che tende ad investire tutta l’attività umana. Se dunque noi vogliamo sapere come sia questo fatto, in che cosa consista questo senso religioso, il problema di metodo ci impegna subito in modo acuto. Come affronteremo tale fenomeno per essere sicuri di riuscire a conoscerlo bene? Occorre dire che la maggior parte delle persone si affidano in questo - coscientemente, incoscientemente - a quello che dicono gli altri, in particolare a quello che dicono coloro che contano nella società: per esempio, i filosofi che l’insegnante spiega a scuola, i giornalisti che normalmente scrivono sui quotidiani e sui periodici che determinano l’opinione pubblica. Come faremo a sapere che cosa è questo senso religioso? Ora siccome tale fenomeno attiene all’umano, è qualcosa che riguarda la persona allora occorre riflettere su me stesso: occorre un’indagine esistenziale. Non è corretto delegare al altri l’esito di tale ricerca che deve vedere impegnato il mio io, poi andrò anche a confrontarmi con quello che hanno detto i filosofi, i giornalisti, mia madre, i miei compagni di scuola,ecc…

     Detto ciò vediamo come deve essere impegnata la ragione nei vari aspetti del reale. Innanzitutto, un avvertimento è importante: non ridurre l’ambito della ragionevolezza. Spesso il razionale viene identificato con “il dimostrabile” nel senso stretto della parola. Ora non è affatto vero che l’esperienza umana del ragionevole sia contenuta in questa identificazione. E’ vero il fatto che il ragionevole chieda, desideri, aspiri e sia curioso di dimostrare ogni cosa, ma non è vero che ragionevole sia identico a dimostrabile. La capacità di dimostrazione è un aspetto della ragionevolezza, ma il ragionevole non è la capacità di dimostrare. Che cosa significa infatti dimostrare? Significa ripercorrere tutti i passi di un procedimento che pone in essere qualcosa. A scuola, quando si ripeteva la dimostrazione di un teorema e si saltava un passaggio, l'insegnante interrompeva dicendo: «Questo non è dimostrato». Infatti tutti i passi costitutivi di una realtà vanno percorsi per poter dire di trovarci di fronte a una dimostrazione.

     Ma questo non esaurisce il ragionevole perché proprio gli aspetti originali più interessanti della realtà non sono dimostrabili. A essi cioè non si può applicare quel procedimento poc'anzi citato. L'uomo non può dimostrare, per esempio, come esistano le cose, e la risposta all'interrogativo sul come le cose esistano è sommamente interessante per l'uomo. Se anche qualcuno potrà dimostrare che questo tavolo è fatto di un materiale che ha una determinata composizione, non potrà mai però ripercorrere tutti i passaggi per cui questo tavolo esiste.

     b) II ragionevole neppure si identifica con il «logico». La logica è un ideale di coerenza: ipotizzate delle premesse, svolgetele coerentemente e avrete una «logica». Se le premesse sono errate, la logica darà un risultato sbagliato. Il problema davvero interessante per l'uomo non è la logica (gioco affascinante); non è la dimostrazione (invitante curiosità); il problema interessante per l'uomo è aderire alla realtà, rendersi conto della realtà. È’ dunque una cogenza (qualcosa che costringe), non una coerenza. Che una madre voglia bene al figlio non costituisce il termine di un procedimento logico: è una evidenza, o una certezza, una proposta della realtà la cui esistenza è cogente ammettere. Che esista il tavolo su cui lavoro, che esista l'attaccamento di mia madre per me, anche se non sono conclusioni di uno svolgimento logico, sono realtà che corrispondono al vero, ed è ragionevole affermarle.

     Le capacità di logica, di coerenza, di dimostrazione, non sono altro che strumenti della ragionevolezza, strumenti al servizio di una mano più grande, dell'ampiezza di un «cuore» che li utilizza.

     Nota bene. Mi preme puntare l'attenzione più sul termine «ragionevole» che sul termine «ragione». Infatti anche quest'ultima, questa capacità di rendersi conto della realtà, può essere usata in modo irragionevole, cioè senza motivi adeguati. Facciamo un piccolo schema sui tre termini più importati della questione

     Realtà = Tutto cio che è

     Uomo = Quel livello della natura che prende coscienza di sé.

     Ragione = Capacità di rendersi conto del reale secondo la totalità dei suoi fattori

     Alla radice il problema sta nel concetto di ragione. Vorrei ricordare un episodio occorsomi parecchi anni orsono dal quale ho imparato molto. Affrontavo per la prima volta un'ora di lezione di religione come insegnante in un liceo classico. Appena montato in cattedra, prima ancora di aver cominciato a parlare, mi accorgo che dall'ultimo banco s'alza una mano. Domando allo studente che cosa voglia. La risposta è stata circa questa: «Scusi, professore, è inutile che lei venga qui a parlarci della fede, a ragionare sulla fede, perché ragione e fede rappresentano due mondi totalmente diversi. Ciò che si potrebbe dire sulla fede non ha nulla a che fare con l'esercizio della ragione e viceversa, e perciò ragionare sulla fede coincide con una mistificazione». Ho chiesto allora allo studente che cosa fosse per lui la fede, e non ricevendo risposta ho rivolto la domanda a tutta la classe con lo stesso risultato. A quel punto ho chiesto allo studente dell'ultimo banco che cosa fosse la ragione, e di fronte al suo silenzio ho nuovamente girato l'interrogativo a tutti ottenendo però ancora silenzio. «Come potete - dissi allora - giudicare della fede e della ragione senza prima aver cercato di rendervi conto di che cosa esse siano? Usate parole del cui significato non avete preso possesso». Ovviamente le mie affermazioni hanno avuto l'effetto di scatenare una discussione e io mi rendevo conto sempre di più che il professore di filosofia aveva avuto un certo influsso sulla classe. Uscendo dall'aula alla fine dell'ora mi sono trovato di fronte proprio a quell'insegnante; e di getto gli dico che ero stupito del fatto che in quella classe si considerasse ovvio che la fede non avesse nulla a che fare con la ragione. La sua reazione fu di dire che anche la Chiesa lo aveva affermato nel Concilio Arausicanum II.1 Lo richiamai al fatto che ogni affermazione va interpretata all'interno del contesto storico in cui è nata e di cui esprime concezioni e preoccupazioni. Stralciare una frase dal suo contesto culturale e letterario e leggerla esattamente come fosse stata stilata l'altro ieri è certo antistorico e ne impedisce la corretta comprensione. A quel punto la lite si era estesa, il capannello di studenti attorno a noi era sempre più folto. Allora, benché fosse già il momento di entrare in un'altra classe, ho voluto far capire agli studenti dove stesse la questione tra me e il professore di filosofia. Gli ho chiesto: «Professore, io non sono mai stato in America, ma le posso con certezza assicurare che l'America c'è. Lo affermo con la stessa certezza con cui dico che lei si trova davanti a me in questo momento. Trova questa mia certezza ragionevole?». Dopo alcuni istanti di silenzio e di evidente impaccio la risposta è stata: «No!». Ecco ciò che ho voluto risultasse chiaro a quegli studenti, e che anche in questa sede voglio affermare: io ho un concetto di ragione per cui ammettere che l'America c'è senza averla mai vista può essere ragionevolissimo, al contrario di quel professore il cui concetto di ragione gli fa dire che non è ragionevole.

     Per me la ragione è apertura alla realtà, capacità di afferrarla e affermarla nella totalità dei suoi fattori. Per quel professore ragione è «misura» delle cose, fenomeno che si avvera quando c'è una diretta dimostrabilità.

     1 Cfr. H. Denzinger, «II Sinodo di Orange», can. 5-7, in Enchiridion Symbolorum, EDB, Bologna 1996, nn. 375-378. Il II Sinodo di Orange, anche noto come Arausicanum II, ebbe inizio il 3 luglio 529 sotto papa Felice IV. Questo Concilio aveva per scopo di chiudere la controversia semipelagiana, portando il colpo di grazia alle idee di Fausto di Riez e fare prevalere la dottrina di sant'Agostino.

Diversità di procedimenti
      Quel che dirò ora non è niente altro che l'esemplificazione della sistematicità con cui la ragione dell'uomo, nel rendersi conto della realtà, si muove usando motivi adeguati. Se io dico: (a + b) x (a - b) = a2 - b2, io affermo un valore algebrico o matematico, un valore cioè che appartiene al campo delle verità matematiche. Ma per arrivare a dire che (a + b) x (a - b) = a2 - b2, come faccio? Svolgo un certo cammino, compio dei passi come dentro una strada dapprima piena di nebbia, un passo dopo l'altro, ecco finalmente la nebbia si dirada e arrivo di fronte allo spettacolo della verità, l'evidenza, l'identità. Io faccio un cammino, arrivo a un certo punto e ho l'evidenza, lo spettacolo della verità. È come un tunnel che a un certo punto sfocia su un ballatoio e rivela lo spettacolo della natura. Facciamo un altro esempio: l'acqua è H2O. Non instauro un cammino come in matematica: prendo un alambicco e raccolgo l'esito della distillazione!

     Un terzo esempio: «La donna di fronte all'uomo che diritti ha?». Un essere umano ha certi diritti, la donna è un essere umano, dunque ha gli stessi diritti dell'uomo. Non mi sono fermato a costruire e risolvere formule matematiche per capire che la donna ha gli stessi diritti dell'uomo; non ho messo la donna sotto un alambicco! Ho svolto un altro cammino e a un dato punto il sillogismo mi ha reso evidente la cosa.

     In greco strada si chiama odós e «lungo il cammino», «attraverso il cammino» si dice metá-odón, da cui deriva l'italiano «metodo». Metodo è una parola derivata dal greco; dal latino si direbbe «procedimento». È attraverso un procedimento (o «processo») che arrivo a conoscere l'oggetto.

     Allora la ragione, come capacità di rendersi conto del reale o dei valori, cioè del reale in quanto entra nell'orizzonte umano, per conoscere certi valori o tipi di verità segue un certo metodo, per un altro tipo di verità segue un altro metodo, per un altro tipo di verità segue un altro metodo ancora: sono tre metodi diversi. Proprio perché la ragione affronta l'oggetto secondo passi o motivi adeguati, sviluppando cammini diversi secondo l'oggetto (il metodo è imposto dall'oggetto!).

     La ragione così non è anchilosata, non è rattrappita come l'ha immaginata tanta filosofia moderna che l'ha ridotta a una sola mossa, «la logica», o a un tipo di fenomeno solo, una certa capacità di «dimostrazione empirica». È molto più vasta, la ragione; è vita, è una vita di fronte alla complessità e alla molteplicità della realtà, di fronte alla ricchezza del reale. La ragione è agile, e va da tutte le parti, percorre tante strade. Io ho esemplificato semplificando.

     Così l'uso della ragione è una flessione della capacità che l'uomo ha di conoscere, la quale implica diversi metodi, o procedimenti, o processi, secondo il tipo degli oggetti; non ha metodo unico, è polivalente, ricca, agile e mobile. Se non si tiene conto di questo fenomeno fondamentale si possono fare gravi errori. Gente esperta di un metodo filosofico o teologico, se pretende affermare una verità in campo scientifico, può incorrere nell'errore commesso da alcuni signori del Santo Uffizio con Galileo Galilei: esperti in esegesi teologiche hanno preteso far dire alla Bibbia quello che la Bibbia non aveva nessuna intenzione di dire, perché la Bibbia non voleva per nulla definire la struttura del cosmo, e parlava secondo la mentalità della gente del suo tempo; ciò che a essa premeva era affermare valori religiosi ed etici.

Un procedimento particolarmente importante
     Immaginatevi Pietro, Giovanni e Andrea di fronte a Gesù di Nazareth: di lui conoscevano la madre, il padre e i parenti; con lui andavano a pescare, a mangiare. A un certo punto fu loro evidente che di quell'uomo si poteva dire: «Se non devo credere a quest'uomo, non devo credere più neanche ai miei occhi». Questa certezza può essere ragionevole? Se lo può essere, qual è il metodo che mi ci conduce? Ricordiamo che il metodo non è altro che la descrizione della ragionevolezza nel rapporto con l'oggetto. Il metodo stabilisce i motivi adeguati con cui fare i passi nella conoscenza dell'oggetto.

     Ancora. Io posso dire con certezza: «Mia madre mi vuole bene». È l'aspetto più importante della maternità, perché se anche uno fosse stato abbandonato a due mesi e preso poi da un'altra donna, sua madre è colei che l'ha preso con sé, se gli vuole bene. «Mia madre è una donna che mi vuol bene»: di questo son certo come della luce del sole, anzi più ancora che non del fatto che la terra gira intorno al sole, nel senso che mi interessa di più, è più importante per la mia vita. È più importante per la mia percezione del reale, per il mio rapporto con il destino che questa donna mi voglia bene, che non la terra giri attorno al sole. È molto bello che si sia scoperto che la terra giri attorno al sole e non viceversa, perché è un aspetto della verità. Però, per quanto riguarda la vita, cioè il problema del mio rapporto con il destino, non è tutto, anzi con il mio problema totale c'entra poco. Io ho presente persone di cui direi: «Ecco, questa gente è proprio mia amica, mi sono veramente amici». Se uno mi dicesse: «Dimostramelo!», con che metodo glielo dimostro? ragionandoci sopra? mettendomi ad applicare strane formule di geometria? usando qualche metodo scientifico? No. Così si deve dire sull'amore che mia madre mi porta.

     Vi sono delle realtà, dei valori, la cui conoscenza non rientra nei tre metodi che abbiamo menzionato. Sono i valori che riguardano l'umano comportamento, non nel suo aspetto meccanico, identificabile con la sociologia o la psicologia, ma nel suo aspetto di significato, come dagli esempi fatti. Se tu ti puoi fidare di quell'uomo o no; fino a qual punto gli puoi far credito; che cosa puoi valorizzare di un altro; se la tal persona è leale o no: la conoscenza certa di questi valori non si può raggiungere con i metodi di cui abbiamo parlato. Eppure nessuno può negare che possa essere ragionevole una certezza acquisita al riguardo. Un ambito di realtà di cui la nostra coscienza può rendersi conto è dunque il campo delle realtà o verità «morali»; morali nel senso etimologico, in quanto cioè definiscono l'umano «comportamento» che in latino si dice mores.

      Nella scoperta di verità e di certezze sul comportamento umano la ragione deve essere usata in modo diverso, altrimenti non è più ragionevole: ad esempio, pretendere di definire l'umano comportamento attraverso un metodo scientifico non sarebbe un processo adeguato.

     Se io andassi a casa questa sera e mia madre mi facesse trovare un bel risotto, e io mi arrestassi improvvisamente, e invece di buttarmi sul piatto, affamato, fissassi il risotto, e lei, preoccupata, mi chiedesse: «Ma... stai male?», e io dicessi: «No. Ma, guarda che io vorrei analizzare questo risotto per essere sicuro che non ci sia del cianuro», mia madre direbbe: «Hai sempre voglia di scherzare!»; però, se mi vedesse fare sul serio, teso a quest'esigenza, non chiamerebbe un analista chimico, ma uno psichiatra. La sicurezza che mia madre non intenda avvelenarmi c'è, indipendentemente dalla stessa possibilità di far l'analisi chimica del cibo preparato.

     Supponiamo ancora che ci troviamo, due amici, alla stessa fermata del tram. «Ciao», «Ciao, come stai?». L'altro sale, e io resto a terra. Intanto il tram comincia a muoversi, cosicché l'amico con la testa fuori dal finestrino mi chiede: «Perché non sei salito?». E io: «Fino a che la giunta comunale a ogni fermata non avrà fatto esaminare scientificamente lo stato psicofisico del tranviere io non salirò più...». Quel tram, per arrivare dal Duomo a Porta Ticinese, impiegherebbe un anno! Matematiche, scienze, filosofia sono necessarie per l'evoluzione dell'uomo come storia, sono fondamentali condizioni per la civiltà. Ma uno potrebbe vivere benissimo senza la filosofia, senza sapere che la terra gira intorno al sole: l’uomo non può vivere invece senza le certezze morali. Senza poter dare giudizi sul comportamento che l'altro ha verso di lui, l'uomo non può vivere. Tanto è vero che l'incertezza nei rapporti è uno dei malanni più terribili della nostra generazione: è difficile la certezza dei rapporti, incominciando dalla famiglia. Si vive come col mal di mare, con una tale insicurezza nella trama di relazioni, che non si costruisce più l'umano. Si costruiranno grattacieli, bombe atomiche, sistemi di filosofia sottilissimi, ma non l'umano, perché esso è nei rapporti.

     Ecco perché la natura in certi campi ha creato un metodo, un cammino, un tipo di svolgimento lento: bisogna fare tutti i passaggi in un certo modo, oppure non si è sicuri di poter procedere; così che a certe cose si arriva dopo secoli, dopo millenni. Invece, per farci cogliere le certezze nei rapporti ci è stato dato un metodo velocissimo, quasi più una intuizione che un processo. È molto più vicino questo quarto metodo al gesto dell'artista, che neanche a quello del tecnico o del dimostratore, perché l'uomo ne ha bisogno per vivere sull'istante. Un metodo porta certezza matematica, un metodo porta certezza scientifica, un metodo certezze filosofiche; il quarto metodo porta a certezze sull'umano comportamento, certezze «morali». Ho detto che come metodo quest'ultimo è più paragonabile al metodo del genio e dell'artista: essi da segni arrivano alla percezione del vero. Quando Newton vide cadere la famosa mela, questa fu un segno che fece balenare la grande ipotesi. Il genio da un piccolo segno induce una intuizione universale. Il metodo con cui capisco che mia madre mi vuole bene, attraverso cui sono certo che molti mi sono amici, non è fissato meccanicamente, ma è intuito dalla intelligenza come unico senso ragionevole, unico motivo adeguato, per spiegare la convergenza di determinati «segni». Moltiplicate indefinitamente questi segni, a centinaia, a migliaia: il punto del loro senso adeguato è che mia madre mi vuoi bene. Migliaia di indici convergenti su questo punto: l'unico senso del comportamento di mia madre è questo, che «mia madre mi vuoi bene».

     La dimostrazione per una certezza morale è un complesso di indizi il cui unico senso adeguato, il cui unico motivo adeguato, la cui unica lettura ragionevole è quella certezza. Si chiama non solo certezza morale, ma anche certezza esistenziale perché è legata al momento in cui tu leggi il fenomeno, cioè intuisci l'insieme dei segni. Per esempio. Io sono tranquillo che chi ho davanti in questo momento non mi vuole ammazzare; e neppure dopo questa mia dichiarazione questa persona mi vuole ammazzare, neanche per il gusto di dimostrare che ho sbagliato. È un comportamento, è una situazione leggendo nella quale pervengo a questa certezza. Ma non potrei affermare tale certezza per un tempo futuro, cambiati i connotati delle circostanze!

    Due rilievi importanti:
     II primo. Io sarò tanto più abilitato ad aver certezza su di te, quanto più sto attento alla tua vita, cioè condivido la tua vita. In questa misura i segni si moltiplicano. Per esempio, nel Vangelo chi ha potuto capire che di quell'uomo bisognava aver fiducia? Non la folla che andava a farsi guarire, ma chi gli andò dietro e condivise la sua vita. Convivenza e condivisione!
     Il secondo: Inversamente, quanto più uno è potentemente uomo, tanto più è capace da pochi indizi di raggiungere certezze sull'altro. Questo è il genio dell'umano, è il genio capace di leggere la verità del comportamento del modo di vivere dell'uomo. Quanto più uno è potente come umanità tanto più ha la capacità di percepire con certezza, «Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio», dice il proverbio, ed è una saggezza abbastanza superficiale, perché la capacità di fidarsi è propria dell'uomo forte e sicuro. L’uomo insicuro non si fida neanche di sua madre. Quanto più uno è veramente uomo tanto più è capace di fidarsi, perché intuisce i motivi adeguati per credere in un altro (se ce ne sono).

     A chi ha il bernoccolo per una certa materia scolastica, basta un cenno per intuire la soluzione del problema, mentre tutti gli altri devono faticare ogni passaggio. Avere il «bernoccolo» di una cosa è come avere con essa una affinità. Il «bernoccolo» dell'umano vuol dire avere molta umanità in sé; e allora sì che scopro fino a che punto posso fidarmi della tua umanità. È come se l'uomo facesse un paragone veloce con se stesso, con la propria «esperienza elementare», con il proprio «cuore» e dicesse: fino a qui corrisponde, e perciò è vero, e mi posso fidare.

Un'applicazione del metodo della certezza morale: la fede
      Che cosa è la fede? È aderire a quello che afferma un altro. Ciò può essere irragionevole, se non ci sono motivi adeguati; è ragionevole se ci sono. Se io ho raggiunto la certezza che una persona sa quel che dice e non mi inganna, allora ripetere con certezza ciò che essa dice con certezza è coerenza con me stesso.

     Ma io posso raggiungere certezza sulla sincerità e sulla capacità di una persona proprio attraverso il procedimento della certezza morale.

     Senza il metodo di conoscenza della fede non ci sarebbe sviluppo umano. Se l'unica ragionevolezza fosse nella evidenza immediata o personalmente dimostrata (come avrebbe preteso il professore di filosofia di cui abbiamo parlato a proposito dell'America), l'uomo non potrebbe più procedere, perché ognuno dovrebbe rifare tutti i processi da capo, saremmo sempre trogloditi. In questo senso il problema della certezza morale è il problema capitale della vita come esistenza, ma attraverso essa anche della vita come civiltà e cultura, perché tutto il prodotto degli altri tre metodi diventa base per uno slancio nuovo solo in forza di questo quarto metodo.

     Spero sia evidente perché ho tematizzato questa premessa come la necessità della ragionevolezza. L'oggetto di uno studio esige realismo, il metodo è imposto dall’oggetto; ma concomitante, complementare a questo, occorre che il lavoro verso l'oggetto rispetti l'esigenza della natura dell'uomo che è la ragionevolezza: avere motivi adeguati nel fare i passi verso l'oggetto del conoscere. La diversità dei metodi stabilisce l'ordine di questi motivi adeguati. Un metodo è luogo di motivi adeguati. Pretendere che per essere sicuri del comportamento dell'uomo si debba applicare il metro scientifico, che se non si può applicare quello non si può raggiungere certezza, questo è irragionevole. Perché è una posizione che non ha motivi adeguati, come dimostra un'osservazione sulla esperienza.

     Inversamente, raggiungere la certezza sull'umano comportamento può benissimo avere motivi adeguati e perciò avvenire con estrema ragionevolezza. La nostra vita è fatta di questo tipo di ragionevolezza. Parlo della nostra vita più interessante, quella dei rapporti, ma anche alla fin fine quella dei rapporti che stabiliscono la storia e attraverso i quali si tramandano i reperti anche delle scoperte fatte con altri metodi.

     Notiamo anche da ultimo che l'uomo può sbagliare nell'usare il metodo scientifico, o il metodo filosofico, o il metodo matematico. Così si può sbagliare nello stabilire un giudizio di certezza sul comportamento umano. Ciò non toglie il fatto che col metodo scientifico si possano raggiungere certezze; e così con il metodo della conoscenza «morale»!

Da “Il senso religioso” di Luigi Giussani Ed Rizzoli - 1997

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